Convenzione delle Alpi: le nuove sfide europee

La Convenzione delle Alpi, a quasi trent'anni dalla firma, continua ad essere il banco di prova per la sostenibilità della regione alpina. Con essa è stato introdotto l'obbligo di un “utilizzo sostenibile delle risorse” e del “rispetto dei principi di precauzione”. Ad oggi non si può certo affermare che gli obiettivi, per certi versi ambiziosi, per altri minimi, siano stati centrati, ma che la Convenzione delle Alpi abbia stimolato nuovi modi di agire, pianificare, cooperare, abbia obbligato al confronto soggetti diversi tra di loro e indicato obiettivi comuni è da riconoscere. L'euforia dei primi anni ha lasciato posto ad un certo disincanto. Spesso le parti contraenti si sono irrigidite su interessi particolari nazionali, molte opportunità di innovazione non sono state colte o messe in atto con ritardo. Sfide come la svolta energetica restano aperte, una politica comune in materia di traffico di transito è lontana a venire. Cooperazioni su diversi temi e progetti stanno tuttavia funzionando a livello alpino. Si sono sviluppate reti di cooperazione tra aree protette, comuni e città alpine. Molte problematiche alpine, pur non essendo state mai affrontate in maniera risolutiva, grazie alla Convenzione delle Alpi sono comunque presenti nelle agende politiche. Alle inerzie dovute alle strutture statali si sono aggiunte le carenze nel coinvolgimento di attori locali che sono emersi più come singole eccellenze che come sistema. In Italia, per esempio, le Regioni (e quando esistevano le Province), non si può dire che abbiano brillato per intraprendenza e per aver riempito di contenuti (e di risorse) il contenitore della Convenzione delle Alpi.
Nel 2016 è entrata in vigore la strategia europea per la regione alpina Eusalp che coinvolge 48 regioni. Quale miglior opportunità quindi per coniugare lo sviluppo di questa macroregione con gli obiettivi della Convenzione delle Alpi? Ma gli interessi possono divergere, specialmente se da una parte abbiamo conurbazioni densamente popolate dove si concentra il potere economico e dall'altra regioni decentrate la cui maggior ricchezza è la naturalità. Mentre la perimetrazione della Convenzione delle Alpi si limita alla regione montuosa alpina, in Eusalp sono coinvolte le pianure a Nord e Sud delle Alpi, con grandi agglomerati urbani come Milano, Torino, Monaco, Vienna, Lione e le loro aree industriali. Poteva essere un'opportunità per ridefinire il rapporto tra zone densamente popolate e sviluppate ed aree interne sensibili dal punto di vista ambientale che forniscono servizi ecosistemici. Eppure non sta andando esattamente così.
Ad esempio all'interno di un sottogruppo di lavoro Eusalp, su insistenza della Regione Veneto, si sta lavorando su un marchio di qualità per grandi progetti di trasporto. Questo perché, viste da Venezia, le Alpi costituiscono un ostacolo al flusso del traffico di transito, che deve essere superato estendendo l'esistente Autostrada A27 verso Nord. La Convenzione delle Alpi lo vieta nel suo Protocollo sui trasporti dove afferma: "Le parti contraenti si astengono dal costruire nuove strade per il traffico transalpino”. Ecco quindi un evidente conflitto. Ed ecco dunque che le Regioni, il Veneto in questo caso, usano la strategia macroregionale in maniera inappropriata.
Ma anche al di fuori di Eusalp le Regioni spesso agiscono in maniera ambigua, promuovendo da un lato forme di turismo sostenibili, sostenendo dall'altro nuovi impianti di risalita e potenziando l'innevamento artificiale, aprendo ad attività come eliski e consentendo che le strade di alta quota vengano prese d'assalto da mezzi motorizzati.
Ma è forse sul tema trasversale, che si sta facendo sempre più rovente, del cambiamento climatico che la Convenzione può alzare l'asticella degli obiettivi. Nell'aprile 2019, alla XV Conferenza delle Alpi di Innsbruck, i ministri dei Paesi alpini e i rappresentanti dell'Unione Europea hanno adottato una dichiarazione comune con l'obiettivo di rendere lo spazio alpino “climaneutrale” e resiliente ai cambiamenti climatici entro il 2050, ed alcuni sotto-obiettivi indicano la via da seguire. Nel settore dei trasporti, ad esempio, si prevede che entro il 2050 le merci in transito attraverso lo spazio alpino, su distanze superiori ai 300 chilometri, siano trasferite tutte su rotaia e tutti i veicoli stradali dovranno produrre emissione di CO2 pari a zero grazie alla mobilità elettrica e a nuove tecniche di propulsione. Ma per raggiungere questo risultato dovranno impegnarsi non solo i Ministeri dell'ambiente, ma soprattutto quelli dei trasporti e dell'economia così come i vari settori economici. Ed anche le Regioni dovranno cambiare rotta.
di Francesco Pastorelli, Direttore Cipra Italia