Agrap - Associazione Gestori Rifugi Alpini

In Piemonte esiste l'Agrap - l'Associazione Gestori Rifugi Alpini, Escursionistici e posti tappa del Piemonte che dal lontano 1996 opera come associazione sociale e che, dopo la triste parentesi Covid, anche sindacale, per fare lobby e promuovere i diritti dei rifugisti. Nata sulla falsa riga delle associazioni di rifugisti simili già esistenti in Friuli – Venezia Giulia, Valle d'Aosta e Trentino, Agrap conta oggi 80 soci su 213 rifugi esistente nell'area regionale, e da anni insieme alle altre realtà regionali porta avanti un discorso di coordinamento nazionale, che si spera prima o poi riesca a vedere la luce.
L'attuale presidente Agrap 
Guido Rocci, guida alpina e rifugista da 35 anni, che oggi gestisce il rifugio Les Montagnards di Balme, nelle Valli di Lanzo, ci racconta di come lui e i colleghi cerchino quotidianamente di portare avanti il loro lavoro di trait d'union tra “pede e monte”, quasi di educatori alla frequentazione della montagna da parte di un pubblico in costante aumento e che spesso non si rende conto della complessità e delicatezza dell'ambiente alpino.

Chi gestisce oggi i rifugi?

Devono essere dei professionisti, perché oggi l'ignoranza in rifugio non è più ammessa. Chi si accosta a questo mestiere deve essere un professionista, deve tenersi aggiornato e rivolgerti ad altri professionisti. È fondamentale avere la formazione giusta: sapere un po' di storia e avere gli strumenti adatti. Purtroppo questo non sempre accade, e arrivano giovani convinti di sapere tutto e che magari badano solo alla qualità del cibo con “impiattamenti” che poco hanno a che fare con la filosofia del rifugio. Ci sono dei ragazzi che pensano in maniera romantica di salire per cambiare vita, poi dopo due anni battono il naso e tornano a casa. Anche perché molto spesso i contratti di gestione sono molto onerosi e non ci si può permettere di improvvisare.

E chi sono gli ospiti?

Oggi il rifugio, a parte realtà come il Quintino Sella (rifugio ai piedi del Monviso in Val d'Aosta) o altri con obiettivi alpinistici chiari e definiti, sta diventando una meta di giornata, dove si sale a mangiare e poi scendi, evitando il pernottamento. Il 70% dei nostri rifugi non sono più i luoghi dove si va a dormire per fare poi la cima la mattina dopo. Oggi chi si ferma, e sono una minoranza, sono i trekker, che si spostano da rifugio a rifugio o la famigliola che porta a spasso i bambini. Noi, ad esempio, lavoriamo sulla Gta a Balme, nelle Valli di Lanzo.

Qual è il vostro ruolo?

Ci vuole tempo, devi dedicarti al cliente e raccontargli la montagna, inculcare qualche principio sulla frequentazione dell'ambiente. Bisogna spiegare agli ospiti che la vita in città è un'altra cosa rispetto a quella in montagna. Il rifugista oggi ha un ruolo strategico, deve farsi trait d'union tra città e montagna, tra cemento e natura. Senza dire no a tutto ciò che viene realizzato in montagna, ma badando al rispetto dell'ambiente. Ed è quello che spingiamo perché venga recepito dal corso di formazione che Regione Piemonte sta organizzando.

Come riuscite a trovare la sostenibilità dei vostri rifugi?

È  molto difficile trovare la quadra: c'è la parte economica molto pressante, e quella diciamo etica, che deve poter avere il suo spazio. Siamo delle imprese turistiche a tutti gli effetti e dobbiamo venderci sul mercato. C'è chi va alla fiera di Lugano e chi fa concerti. Io preferisco fare rassegne culturali di un certo tipo, sui temi della montagna. Sono degli extra che diamo al cliente per fargli capire di più, per fargli comprendere dove sono capitati e che tipo di contesto è la montagna. Bisogna quindi trovare il giusto equilibrio: ad esempio se faccio chilometro zero e spingo sui prodotti locali divento un agente di sviluppo del territorio e lavoro in rete, ma dovrò fare un prezzo più alto, e selezionerò un certo tipo di clientela a svantaggio di un'altra.

Come fate a gestire la forte richiesta di montagna che è cresciuta a partire dal lockdown?

Questo per alcune realtà come la mia, che è un rifugio a bordo strada, è un problema da affrontare e che il rifugista molto spesso da solo non riesce a gestire. O diventa una scelta di territorio, condivisa, o non si riesce a gestire questi flussi. In alcuni rifugi della nostra valle il sabato e la domenica c'è l'assalto: tre turni di cucina senza soluzione di continuità. Forse a livello di territorio dobbiamo definire cosa è sostenibile e cosa no. Perché va bene la parte economica, ma non si può delegare tutto a quello, altrimenti chi ne fa le spese sarà la montagna.

A cura di Maurizio Dematteis

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