Creare un nuovo welfare generativo

Negli ultimi anni tra montanari “per scelta” che dalle aree urbane si trasferiscono in montagna, montanari “di ritorno” verso i luoghi di origine della propria famiglia, imprenditori che investono risorse economiche e umane in progetti innovativi nelle aree alpine e appenniniche del nostro Paese, la ricerca territoriale ha registrato la presenza di una importante “domanda di montagna”.

Sulla spinta di questa domanda il professor Andrea Membretti (Senior Researcher presso University of Eastern Finland, Research Associate presso University of the Free State Sudafrica, Dottore di ricerca in Sociologia, già post doc researcher presso Università di Pavia e di Milano-Bicocca), nel 2018 ha realizzato ad un esperimento di sviluppo sociale della montagna messo in campo nella Regione Piemonte per capire di cosa questo fenomeno in aumento avesse bisogno.

Si è trattato dell'apertura di uno sportello denominato “Innov-Aree. Vado a vivere in montagna”, situato nel centro di Torino presso la sede di SocialFare, un esperimento di institution building volto a promuovere lo sviluppo socialmente innovativo delle zone montane e delle aree interne del Piemonte, attivando gli strumenti dell'accompagnamento all'impresa, del micro-credito e della finanza etica. In pochi mesi il professor Membretti e i suoi collaboratori sono stati contattati da 61 persone, 46 delle quali (quasi la metà donne) si sono poi presentate allo sportello affrontando un colloquio personalizzato e presentando veri e propri progetti di vita in montagna.

Ma chi erano questi aspiranti nuovi montanari? La fascia d'età̀ più̀ rappresentata è compresa tra i 30 e i 39 anni, seguita a ruota dagli over 50, con un numero rilevante di soggetti molto giovani (19-29 anni). Tra di essi, vi è una maggioranza relativa di laureati, anche in possesso di master o dottorati che spaziano dal settore agro-alimentare all'ingegneria, sino alla psicologia e alla comunicazione, e una quota significativa di diplomati, mentre la loro provenienza è in gran parte dalla provincia di Torino, sia dal capoluogo sia dai comuni delle valli montane. 

«Uno dei temi più ricorrenti tra quelli sollevati dalle persone che abbiamo incontrato allo sportello “Vado a vivere in montagna” – spiega il professor Membretti -  è quello dei servizi di welfare, soprattutto da parte delle coppie con figli piccoli e dagli over 50. Si chiedono che tipo di servizi troveranno nei comuni in cui decidono di trasferirsi e alla luce dei problemi affrontati negli ultimi due anni con l'emergenza Covid se vi sia o meno la possibilità di accedere velocemente ai servizi sanitari». Domande puntuali da parte di chi sarebbe disposto a puntare sui territori montani per futuri progetti imprenditoriali e di vita, alle quali molto spesso le amministrazioni locali non riescono a fornire risposte esaustive. Ma allora in nome di cosa accettare la sfida del “Vado a vivere in montagna” se poi la percezione è quella di dover viere nella precarietà?

«Dal punto di vista dei servizi pubblici non abbiamo rilevato good practice o iniziative innovative – continua Membretti -. I comuni si lamentano della scarsità di risorse, e non sanno come dare risposte alle nuove famiglie». La sorpresa più che dalle istituzioni viene infatti dalle famiglie stesse, che si auto-organizzano, ad esempio, nel trasporto dei figli a scuola, con turnazione volontaria e auto private, ponendo le basi per la futura ricostruzione di comunità. «Se dal punto di vista di un'eventuale riforma dei servizi di welfare pubblico non sono molto ottimista – spiega Andrea Membretti - per quanto riguarda la capacità di autorganizzazione dei nuovi abitanti mi sento di poter essere speranzoso. Tenendo presente però che se dietro alle iniziative spontanee non si affianca il supporto del pubblico queste iniziative rischiano di essere dei fuochi di paglia». E poco alla volta chiudono le scuole, gli uffici postali di valle, i presidi ospedalieri e il territorio si spopola, dando vita al noto scivolamento di popolazione verso la pianura.

«Oggi il PNRR investe sulle comunità energetiche e sulla condivisione di una serie di beni comuni, mentre i servizi di welfare sono passati in secondo, se non in terzo piano – spiega Membretti – E il tema green è giustissimo, ci mancherebbe, ma se poi mancano i servizi puoi produrre tutta l'energia a costo ambientale zero che vuoi ma la gente se ne va. Forse un po' di miopia da questo punto di vista c'è, e forse i fondi per la resilienza potrebbero essere usati maggiormente anche in questa direzione». Non si tratta, come spiega il professore, solo dei classici servizi welfare di base, ma della realizzazione di risposte che sappiano tenere conto dei diversi modi di vivere la montagna: stagionali, turistici, pendolari. «Oggi la grande sfida è quella della “multi-località”. Cioè del fatto che sempre più persone vanno nella direzione di una residenza temporanea ma di lunga durata in montagna. Questo riguarda alcune categorie che abbiamo incontrato allo sportello: gli smart workers, le famiglie con bambini piccoli e sempre di più gli anziani, grazie al fenomeno dell'invecchiamento attivo. Queste categorie spingono verso una ridefinizione dei servizi che al momento non sono strutturati per loro. C'è uno spazio di innovazione incredibile che andrebbe colto per ripensare ai servizi intorno alle esigenze delle persone».

Un esempio? Una famiglia con bambino piccolo non può portare il figlio in due asili nido, alcuni mesi in quello in città e alcuni mesi in quello in montagna, perché spesso non lo accettano, e anche se lo accettassero, dovrebbe comunque pagare due rette piene. «Anche queste sono domande che ci siamo sentiti rivolgere allo sportello – conclude Membretti -. E allora bisogna pensare ad un servizio innovativo in grado di accogliere il bambino con insegnanti preparati che riescano a gestirlo. Servizi che anche grazie a questi numeri di residenti temporanei di lungo corso evitano di essere chiusi per mancanza di utenti. Bisogna acquisire una mentalità metromontana capace di tenere insieme i due tipi di servizi. Perché se le persone non hanno servizi di welfare e la garanzia di poterne usufruire anche montagna, diventa inutile dare loro incentivi alle sole attività economiche, perché alla fine quando cominciano a nascere i figli o le persone invecchiano se non son disposte a vivere in situazioni di insicurezza se ne vanno. Bisogna pensare a un vero welfare generativo, capace di generare non solo azioni sociali e comunitarie ma anche benessere economico».

A cura di Maurizio Dematteis.