Fondazione Dolomiti UNESCO. La sfida non si ferma qui

Il 13 maggio 2010, ad un anno di distanza dal riconoscimento delle Dolomiti Patrimonio Mondiale UNESCO, le Province di Belluno, Bolzano, Pordenone, Trento e Udine assieme alle Regioni Friuli Venezia Giulia e Veneto, hanno costituito la Fondazione Dolomiti – Dolomiten – Dolomites – Dolomitis UNESCO. L'impegno di garantire una gestione efficace e coordinata del Bene Dolomiti e la volontà di promuovere la comunicazione, la collaborazione e la sinergia tra gli enti territoriali coinvolti si è concretizzata nella creazione di questo ente che, dal 2014, è diretto da Marcella Morandini.
Una laurea in Lettere a indirizzo Geografico presso l'Università degli Studi di Verona, una specializzazione in Sistemi d'Informazione Territoriale alla Paris-Lodron Universität di Salisburgo e tanti progetti di cooperazione e sviluppo territoriale. Ma anche un incarico come funzionario internazionale del Segretariato presso la Convenzione delle Alpi e come direttore dell'Ökoinstitut Südtirol/Alto Adige (Bolzano) segnano il percorso formativo e professionale di Marcella Morandini che da tempo, oramai, si occupa di montagna e di Dolomiti in particolare.

La incontriamo per parlare del lavoro della Fondazione ma soprattutto delle opportunità e delle sfide connesse al riconoscimento UNESCO, così come delle prospettive di sviluppo dei territori dolomitici.

 

Marcella, il riconoscimento UNESCO del 2009 è arrivato a seguito di un percorso di candidatura che ha coinvolto la società civile e le amministrazioni pubbliche. Quali azioni concrete avete realizzato per comunicare questo progetto e per sensibilizzare e coinvolgere enti, associazioni e abitanti? Quali sono state le strade che avete percorso per informare e per condividere?

Mi fa molto piacere partire proprio da qui. Spesso ci si chiede cosa può o non può fare la Fondazione Dolomiti UNESCO. Quando si usano termini come “rete”, “dialogo”, “concertazione”, si rischia sempre di rimanere nel vago. Al contrario la Fondazione Dolomiti UNESCO ha un incarico ben preciso e degli obiettivi, certo ambiziosi, ma altrettanto precisi. È vero, il processo di candidatura ha coinvolto il territorio, quindi la strada era già segnata e noi abbiamo deciso di percorrerla con convinzione. L'UNESCO ci ha dato una precisa indicazione: il Patrimonio Mondiale Dolomiti va gestito in modo condiviso. Con quale strategia lo abbiamo dovuto, ovviamente, decidere noi, e lo abbiamo fatto ancora una volta insieme. Nel 2015 si è svolto il processo partecipativo #Dolomiti2040, un grande “brain storming” collettivo che ha fatto emergere proposte, attese, auspici, critiche, da parte di sostenitori, amministrazioni, categorie economiche, associazioni. Il tutto è confluito nella Strategia Complessiva di Gestione (si veda allegato ndr), la “mappa” del nostro agire quotidiano. In poche parole: quello che facciamo, lo abbiamo deciso insieme al territorio. Un processo che non si è certo concluso: il modo di operare della Fondazione è quello delle reti, formali e informali. Faccio un esempio: ci sono dei tavoli operativi e di confronto permanente (reti funzionali) a livello interregionale negli ambiti della formazione e della ricerca, delle aree protette, dello sviluppo sostenibile. Ma abbiamo promosso anche delle reti informali come quella dei produttori di qualità e dei gestori di rifugio. Un lavoro capillare, che dopo dieci anni ha dato risultati davvero stimolanti. Comunicare i valori del riconoscimento è relativamente facile: lo facciamo ogni giorno attraverso i canali social e l'ottimo riscontro mediatico che fortunatamente continuano ad avere le nostre iniziative. Più complicata è a volte la comunicazione interna, quella tra territori tanto diversi e ricchi di peculiarità. Ma anche su questo, credetemi, i passi avanti, in dieci anni sono stati davvero apprezzabili: in molti contesti in cui portiamo avanti il nostro (talvolta poco visibile) lavoro di tessitura, si è ormai affermata l'abitudine di parlare del Patrimonio dolomitico nel suo complesso, di ciò che unisce le cinque province e non di ciò che le divide.

 

Infatti questo processo partecipato è stata un'opportunità per coniugare aspettative e istanze degli attori territoriali coinvolti, far dialogare le diverse anime delle Dolomiti e per fare rete su territorio fortemente differenziato per le caratteristiche amministrative, economiche, sociali, linguistiche. Come è stata capitalizzata questa ricchezza relazionale?

Attraverso la formazione e la cultura. Il caso che porto sempre ad esempio è quello dei gestori dei 66 rifugi che rientrano nel Patrimonio: hanno capito che ognuno ha qualcosa da imparare dall'altro e che tutti insieme devono prepararsi adeguatamente ad affrontare la sfida di un turismo sempre più internazionale e sempre più legato ai valori geologici e paesaggistici del Patrimonio. Lo stesso stanno facendo i produttori di qualità. Le differenze ci sono e sono una ricchezza, non bisogna nasconderle ma esserne consapevoli e valorizzarle. A Cortina il 26 giugno saranno presenti bande musicali provenienti da tutti i territori dolomitici, il 29 giugno a San Vigilio di Marebbe si riuniranno le comunità delle Dolomiti. Ognuno con la propria lingua, le proprie tradizioni, le proprie differenze ma tutti consapevoli di abitare il medesimo contesto geografico e di trovarsi ad affrontare sfide simili.

 

Istituzioni e abitanti. Chi vive nei territori dolomiti – “grazie”, talvolta “nonostante”, talvolta semplicemente “con” le Dolomiti, per riprendere la presentazione del vostro progetto “NOI DOLOMITI UNESCO” – cosa vede nel riconoscimento? Che valore o che criticità gli attribuisce?

A questo punto devo utilizzare un'altra di quelle parole che rischiano l'usura, ma che sono imprescindibili: consapevolezza. Noi abitanti (amministratori compresi) delle Dolomiti, così come coloro che le frequentano, già sapevamo che le nostre montagne sono uniche al mondo. Ma la consapevolezza è un'altra cosa: un conto è essere orgogliosi del luogo in cui si vive, un conto è conformare il proprio modo di vivere, all'eccezionalità di quel luogo. Una commissione internazionale, prendendo in considerazione i valori geologici e paesaggistici di tutto il mondo, è arrivata a confermare che sì, questi paesaggi e queste formazioni carbonatiche sono unici, non c'è nient'altro di simile sul nostro pianeta. Sempre più persone, in diversi ambiti sociali ed economici, si sono interrogate su come cambiare il proprio modo di lavorare, in virtù di questo riconoscimento. Questo è l'approccio corretto, a mio avviso. Poi è inevitabile che ci siano fraintendimenti: da un lato c'è ancora chi ritiene che il riconoscimento sia solo un marchio di cui fregiarsi, dall'altro chi ancora teme che sia portatore di ulteriori vincoli. Credo che siano entrambi approcci scorretti: il primo perché riduce il riconoscimento a un qualcosa di inerte, a uno mero specchietto per le allodole; il secondo perché è falso, tutte le aree che rientrano nel Patrimonio Mondiale avevano già prima una qualche forma di protezione ambientale, facendo parte di un'area protetta. Abbiamo chiesto noi, comunità dolomitiche, che il nostro territorio venisse riconosciuto come un Patrimonio Mondiale e abbiamo anche attentamente definito il perimetro dei nove Sistemi dolomitici che complessivamente lo compongono. Tra l'approccio orientato allo sviluppo senza intralci e quello orientato invece alla museificazione c'è una terza via. Tutela e sviluppo possono andare di pari passo se prima rispondiamo a questa domanda: che tipo di sviluppo vogliamo dare alle Dolomiti? La Fondazione può essere un'importante piattaforma per supportare i territori nel percorso verso una visione diversa.

 

La Fondazione, abbiamo detto, opera da dieci anni. Ci racconti – seppur brevemente – qual è stato il vostro lavoro? Quali sono stati i risultati più importanti cha credi sono stati raggiunti? Quali traguardi avete tagliato e quali batture d'arresto o situazioni critiche avete dovuto affrontare?

Ho già ricordato il lavoro delle reti funzionali: del Patrimonio Geologico, del Patrimonio Paesaggistico e delle Aree Protette, della Promozione del Turismo Sostenibile, dello Sviluppo Sostenibile e della Mobilità. Ma permettetemi di mettere l'accento, in questa sede, sulla Rete della Formazione e della Ricerca Scientifica, coordinata dalla Provincia Autonoma di Trento proprio attraverso la tsm ׀ step Area UNESCO. Dai concorsi per le scuole ai master di alta formazione, dai corsi per i tecnici a quelli per gli insegnanti, rappresenta uno dei nostri punti di forza per dare profondità scientifica al processo di crescita della consapevolezza di parlavamo poc'anzi. Il lavoro di tutte le Reti è sicuramente uno dei risultati più importanti che abbiamo raggiunto. Poi certo ci sono alcune iniziative singole che hanno dato ottimi riscontri. La visibilità delle Dolomiti è cresciuta moltissimo e i gestori di rifugio sono concordi nel parlare di un aumento a due cifre di visitatori. Questo si deve non solo al richiamo del riconoscimento in sé, ma anche alla capacità di trasmetterne i valori. Lo abbiamo fatto ad esempio attraverso il portale visitdolomites.com, o collaborando alla prima guida Lonely Planet dedicata alla Dolomiti nel loro complesso (e oggi tradotta in diverse lingue). Siamo particolarmente orgogliosi poi del progetto Dolomiti Accessibili, che ha consentito di mappare percorsi fruibili anche da persone con disabilità, per un turismo sempre più inclusivo. Ma occuperebbe troppo spazio elencare ogni singolo progetto: la conferma che in questi anni la presenza sul territorio si è sentita, è arrivata quando abbiamo chiesto di proporre degli eventi per il decennale. In pochi giorni siamo arrivati a oltre 150, in tutte le province coinvolte. Di criticità ce ne sono sempre e sono per lo più legate a quel difetto di “percezione” di cui parlavamo e che stiamo comunque progressivamente superando. Ma devo dire che fa molto piacere ricevere continui riconoscimenti a livello nazionale (in particolare dalla Commissione Nazionale Italiana per l'UNESCO e dal Ministero dell'Ambiente che ha voluto istituire e presiedere il tavolo per le celebrazioni del decennale) e a livello internazionale (siamo sempre più spesso invitati all'estero per esporre la gestione partecipativa di uno dei Patrimoni più complessi riconosciuti dall'UNESCO).

 

Ci ricordi come festeggerete questi 10 anni di Dolomiti UNESCO?

Il 26 giugno a Cortina abbiamo organizzato, insieme al Ministero dell'Ambiente con il Sottosegretario Vannia Gava, Presidente del Comitato per le celebrazioni del decennale del riconoscimento Dolomiti UNESCO, il festeggiamento ufficiale con le massime autorità, la musica di quattro bande dai diversi territori, i prodotti elaborati dagli chef delle Dolomiti, la presenza dei ragazzi dell'alpinismo giovanile delle associazioni alpinistiche di Trentino, Alto Adige, Veneto e Friuli Venezia Giulia, che poi partiranno per un “campo sentieri” in Cadore, dove lavoreranno alla sistemazione di alcuni percorsi. Il 29 giugno sarà la volta del Dolomites UNESCO Fest a San Vigilio di Marebbe, il 5 luglio al Rifugio Berti in Comelico inizierà la rassegna “Incontri d'alt(r)a quota”, che proseguirà al Rifugio Agostini sul Brenta (27 e 28 luglio), al Pian de Fontana nelle Dolomiti Bellunesi (31 agosto), al Cava Buscada nelle Dolomiti Friulane (7 settembre), al Pradidali sulle Pale di San Martino (21 settembre).

Sul nostro sito trovate però anche gli oltre 140 eventi organizzati intutte le Dolomiti da associazioni, comuni, parchi, enti locali, privati cittadini. Un bellissimo segnale di attenzione e condivisione da parte delle comunità dolomitiche.

 

Recentemente, in occasione del FilmFestival di Trento, il filosofo Vito Mancuso ha affermato che “Più le cose sono importanti più sono complesse, più sono complesse più sono fragili. E le cose fragili richiedono cura”. Una riflessione ancor più attuale dopo quanto accaduto nell'ottobre 2018 con la tempesta Vaia e i tanti danni che ha causato. Questi eventi possono essere un'occasione per ridefinire o puntualizzare le scelte strategiche per i territori montani?

Sì, senza ombra di dubbio. Dovremo convivere con i cambiamenti climatici e i loro effetti. E dovremo adattarci.

Anche per questo il Consiglio di Amministrazione della Fondazione ha deciso di individuare nella ricostruzione dei Serrai di Sottoguda, ai piedi della Marmolada, il progetto simbolo degli sforzi congiunti di tutti i territori, nel dopo-Vaia. I Serrai erano uno dei percorsi di punta del progetto Dolomiti Accessibili e una delle porte di accesso privilegiate al Patrimonio. La Fondazione intende contribuire alla ricostruzione, facendo in modo che la progettazione dei Serrai di domani diventi una buona pratica per l'adattamento ai cambiamenti climatici, perché non possiamo far finta che niente sia cambiato dal 29 ottobre e soprattutto non possiamo escludere che eventi di simile portata e intensità tornino a verificarsi. Abbiamo lanciato una campagna di raccolta fondi a sostegno della ricostruzione: l'ambizioso obiettivo è di raccogliere 1 milione di Euro entro l'anno. Spero siano sempre di più le persone che decideranno di dare un contributo, anche piccolo (per informazioni www.dolomitiunesco.info).

 

Marcella, un'ultima riflessione sul valore attuale e sul futuro delle Dolomiti Patrimonio Mondiale. Cosa vedi nell'orizzonte di questi territori e cosa dovrà essere fatto nel prossimo futuro?

Spero che continui ad essere una facoltà di geologia a cielo aperto e un laboratorio permanente di condivisione delle scelte per uno sviluppo sostenibile. Arrivo a dire che l'enorme sforzo messo in piedi per condividere e diffondere i valori del riconoscimento, non possa rimanere fine a sé stesso: le Dolomiti devono diventare un modello di resilienza, un luogo in cui si progetta e si sperimenta il futuro delle aree marginali, lavorando sulla tutela e la valorizzazione del territorio, la formazione, il turismo, le infrastrutture, la ricerca. Un lavoro che richiede un delicatissimo equilibrio tra tutela del paesaggio e sviluppo economico, ricchezza e diversità culturali. Ma se riusciremo a farlo noi, che condividiamo uno spazio tanto unico quando diversificato, le Dolomiti potranno davvero diventare un paradigma per ripensare le presenze antropiche, perlomeno in Europa, uscendo dal modello urbano-centrico e riconoscendo le aree montane, e quelle marginali in particolare, come uno spazio politico da valorizzare e non da abbandonare.

 

Intervista di Maddalena Pellizzari