Museo sì, ma eco!

Nel 1995 il Piemonte si è dotato, prima Regione in Italia, di una legge d'istituzione degli ecomusei, la L.R. 31/95 “Istituzione di Ecomusei del Piemonte”. Tra i promotori di questa norma Valter Giuliano, giornalista e ambientalista, già presidente della Federazione Nazionale “Pro Natura”, consigliere della Regione Piemonte e assessore della Provincia di Torino con deleghe a cultura, parchi, montagne e minoranze linguistiche, oggi consigliere del piccolo comunale di Ostana, in Valle Po, provincia di Cuneo.

 

Gli abbiamo chiesto di raccontarci come è nata l'avventura degli ecomusei nel nostro paese.

Quando siamo partiti noi in Piemonte, erano gli anni '90 del secolo scorso, in Italia esisteva un solo ecomuseo: l'Ecomuseo della Montagna Pistoiese, attivo dal 1990, e nato in ambito universitario. In quel periodo come giornalista mi occupavo di parchi e aree protette, e avevo sentito che nei parchi francesi cominciavano ad affiancare al tema della conservazione percorsi ecomuseali per coinvolgere e valorizzare le comunità. Per approfondire mi sono recato nel nordovest della Francia, in Bretagna, a visitare l'Ecomuseo Creusot-Montceau-les-Mines, uno dei primi ecomusei in Europa, nato negli anni '70. E in Francia ho visitato anche altre realtà simili. Sono tornato a Torino e ho pubblicato un articolo su Cronache Economiche, il quindicinale a cura della Camera di Commercio Industria e Agricoltura di Torino, per sottolineare il fatto che gli ecomusei potevano interessare anche il mondo dell'imprenditoria. Perché l'esperienza francese, oltre ad avermi aperto un orizzonte sulle realtà di valorizzazione delle comunità, mi aveva mostrato anche il possibile ritorno economico di queste attività nelle realtà locali coinvolte, per nulla trascurabile.

 

Il tuo messaggio è stato accolto da qualcuno?

Nel 1992 comincia la mia avventura in Regione Piemonte, all'opposizione, con Mercedes Bresso. In quel periodo i colpi di coda di Tangentopoli avevano fatto cadere la giunta piemontese e hanno creato un governo locale di salute pubblica, cui partecipiamo anche noi all'opposizione. Alla collega di partito Mercedes Bresso viene affidato l'Assessorato alla programmazione territoriale, e cominciamo un iter per la realizzazione di un disegno di legge sugli ecomusei che portiamo in Consiglio regionale, io ero il relatore. Il disegno di legge passa, e nel 1997 esce la L.R. 31/95 “Istituzione di Ecomusei del Piemonte”. Ed è così che siamo diventati la prima regione in Italia ad avere approvato una legge per favorire la nascita degli ecomusei.

 

E poi, cosa succede?

Nel giugno del 1995 finisce l'avventura del governo locale di salute pubblica in Piemonte, Mercedes Bresso viene eletta in Provincia di Torino ed io assumo la carica di Assessore alla montagna, parchi, cultura e guardie ecologiche. Promuoviamo immediatamente la “Rete degli ecomusei provinciali”, azione concreta realizzabile grazie alla Legge Regionale 31/95. La Regione Piemonte dal canto suo promuove il “Laboratorio degli ecomusei piemontesi”, per dare sostegno alla “Rete museale regionale”.

Intanto la legge regionale piemontese gira l'Italia, ed io partecipo in prima persona a molti incontri e convegni: Trentino - Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna. Andiamo ovunque a raccontarla nel tentativo di fare “giurisprudenza”. In quel periodo, e siamo alla fine degli anni '90, si comincia addirittura a parlare di un progetto nazionale, con la Regione Puglia si muove in qualità di capofila per promuovere un disegno di legge unitario. Poi tutto rallenta, e la legge nazionale la attendiamo ancora oggi.

 

Quindi la “stagione degli ecomusei” si è fermata?

No, assolutamente no. Regioni come il Trentino Alto Adige, il Friuli Venezia Giulia e tante altre hanno continuato a lavorare. Oggi c'è una buona rete nazionale degli ecomusei, e anche in assenza di una legge quadro la realtà è spontanea e sana. Il sistema degli ecomusei in Italia sta funzionando bene. La legge nazionale ci vorrebbe, certo, e darebbe continuità. Però bisogna stare attenti, perché l'ecomuseo è singolo e plurimo, non può essere standardizzato né normalizzato. Ogni territorio ha le sue caratteristiche, spesso uniche, e non si può assolutamente uniformarli. Questo al limite si può fare con i musei, ma non certo con gi ecomusei, che sono espressione della comunità. Pena la loro scomparsa. Come spiegano bene Georges Henri Rivière e Hugues de Varine, padri putativi degli ecomusei.

 

Ma cos'è in definitiva un ecomuseo?

È il patrimonio vivente, è ciò che è presente. Ma allo stesso tempo l'ecomuseo è anche attento a ciò che sta sparendo e che pensiamo sia invece utile che rimanga.

Un ecomuseo nasce come espressione di un territorio e di una comunità. È uno pecchio in cui la comunità si riflette per il passato, per il presente e per il suo futuro. Per qualsiasi azione di sviluppo territoriale che voglia essere sostenibile, l'ecomuseo è fondamentale: serve alla comunità per riaffacciarsi sulla propria storia locale, per analizzarsi e intravvedere le strade future. Per questo motivo deve essere la comunità a far nascere il proprio ecomuseo, ed essere orgogliosa della propria storia. L'ecomuseo è un luogo mentale in cui la comunità si può specchiare, uno strumento con cui è possibile pendersi il tempo per capire e coinvolgere tutti gli attori locali nelle varie articolazioni. L'ecomuseo ha due componenti, quella materiale dei luoghi e degli oggetti e quella immateriale della cultura, la lingua, usi e costumi. Conserva e mostra la tradizione, ma è anche uno strumento vivente, che parla dell'oggi, senza limitarsi a voltarsi indietro verso il passato. Un luogo di riflessione della comunità che nasce dal basso e che tiene al suo interno tutti e tutte le componenti locali.

 

Ci puoi raccontare un esempio puntuale?

Attualmente sono impegnato alla formalizzazione dell'ecomuseo della comunità di Ostana, piccolo comune della Valle Po, in Piemonte. In realtà ad Ostana l'ecomuseo esisteva già da più di 30 anni, bisognava solo formalizzarlo. Abbiamo fatto una delibera e siamo partiti.

Abbiamo coinvolto tutti i rappresentanti della comunità: dal neo-panettiere all'orto biologico, dall'artigiano che lavora con tecniche tradizionali adattate all'oggi, alle associazioni locali che si occupano della sentieristica, dagli studenti della scuola all'amministrazione comunale. Ci vediamo periodicamente, tutte le settimane, riunendoci per costruire insieme il percorso che abbiamo denominato “Lou Lindal”, che in occitano vuole dire architrave, ma in alcune comunità significa anche soglia di casa. Quindi un percorso che idealmente sorregge la comunità ma invita anche ad entrarci dentro.

Il nostro ecomuseo di Ostana parte dalla storia, proseguendo lungo i sentieri recuperati dalle associazioni, dove i ragazzi delle scuole hanno realizzato una serie di tabelloni con qr code che ti raccontano di un territorio, della sua storia, dell'architettura, delle aziende agricole che coltivano biologico, degli artigiani che trasformano con ricette antiche, degli allevatori che portano le bestie al pascolo, dell'agriturismo che alleva capre cashmere e tiene i cani pastore dei Pirenei per tenere alla larga i lupi, dal caseificio didattico realizzato da due giovani neo montanari, che nei weekend si riempie di ragazzi.

 

L'ecomuseo, come dicevi all'inizio, ha anche un possibile ritorno economico per la comunità…

In realtà come avrebbe detto il mio amico Alex Langer la comunità dovrebbe far nascere l'ecomuseo prima di tutto per sé stessa, per riappropriarsi delle sue radici, della consapevolezza, della forza della conoscenza. Poi ovviamente, in un secondo momento, questo lavoro può diventare anche un valore aggiunto per l'offerta turistica. Perché oggi il turista non cerca offerte standardizzate ma originali. Vuole trovare l'originalità, e quindi se noi lo prendiamo per mano e lo portiamo a conoscere la comunità locale, lui non chiede di meglio. Così facendo l'ospite si cala immediatamente in una serie di offerte per lui speciali, ma che speciali non sono, perché sono semplicemente le offerte che può fornire quel territorio del territorio, e l'ospite ne esce con qualcosa in più. E allo stesso tempo la comunità che ha promosso il proprio territorio, che ha partecipato al percorso di autocoscienza ha ritrovato le proprie radici è diventata più forte, e non ha più paura né del futuro né del diverso da sé. Si mette in dialogo con te, che sei diverso, e ce la contiamo. L'ecomuseo diventa anche uno strumento per superare la “comunità del rancore”. E allora nell'ecomuseo di Ostana io ci metto anche Rashid, che è arrivato dal Pakistan ed oggi lavora alla cooperativa di valle realizzando muri in pietra come facevano un tempo, con tecniche e attrezzature di oggi.

A cura di Maurizio Dematteis

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