Vent’anni con la Convenzione Europea del Paesaggio. Dialogo con Benedetta Castiglioni

Benedetta Castiglioni è professore associato di Geografia presso il Dipartimento di Scienze Storiche, Geografiche e dell'Antichità dell'Università degli Studi di Padova. È referente del Corso di laurea magistrale in Scienze per il Paesaggio e membro del Collegio Docenti del Corso di Dottorato in Studi Storici, Geografici e Antropologici (UniPD e UniVE). È rappresentante di Ateneo per Uniscape (Rete di Università per l'applicazione della Convenzione Europea del Paesaggio), collabora con numerosi Enti e Istituzioni culturali, quale membro del Comitato scientifico (Osservatorio regionale per il Paesaggio della Regione del Veneto, Fondazione G. Angelini – Centro Studi sulla montagna, Fondazione Comelico Dolomiti - Centro Studi Transfrontaliero, Fondazione Leonardo 500) e per progetti legati al tema del paesaggio. Ha seguito fin dal suo avvio il dibattito sulla CEP, con particolare attenzione agli aspetti legati alla dimensione sociale del paesaggio, partecipando come relatore a convegni nazionali e internazionali e pubblicando più di cento contributi scientifici.
Vent'anni fa, a Firenze, veniva firmata la Convenzione Europea del Paesaggio. Cosa ha rappresentato questo documento? Di quali significati e cambiamenti si faceva portatore e cosa rappresenta adesso, a distanza di due decenni dalla sua sottoscrizione?
La Convenzione europea del Paesaggio è stato il primo documento di carattere internazionale dedicato al tema; è particolarmente importante perché nasce in seno al Consiglio d'Europa, vale a dire a quell'istituzione che si fonda sui diritti fondamentali dell'uomo e che promuove i principi della democrazia. Mi piace quindi sottolineare fin da subito che la Convenzione promuove le azioni sul paesaggio in quanto “elemento chiave del benessere individuale e sociale”: la popolazione è al centro e la qualità del paesaggio ha senso con riferimento alla qualità della vita delle persone. Si tratta di un cambiamento culturale importante: con la CEP il paesaggio cessa di essere solo uno sfondo esteticamente pregevole, o un monumento da conservare inalterato, di cui si devono occupare solo gli esperti; un po' alla volta, a livello istituzionale e culturale, sta maturando l'idea che paesaggio è dappertutto e che è necessario e utile che tutti ne acquisiscano consapevolezza e se ne prendano cura.
La crescita della consapevolezza “al valore dei paesaggi” e la formazione sono aspetti su cui la Convenzione ha posto molta attenzione. Come sono state attuate queste indicazioni e quali sono le potenzialità insite nell'educazione al paesaggio?
Io penso che su questo fronte siano state avviate numerose iniziative (penso ad esempio a quelle messe in campo in Trentino da Step), ma che ci sia ancora molto da fare, per passare da episodi isolati ad una strategia complessiva di lungo periodo che riguardi la scuola ma anche la formazione permanente. Trattare di paesaggio in ambito educativo non significa solo “insegnare” come sono fatti i paesaggi, ma promuovere l'acquisizione di un rapporto maturo con essi, nell'ambito dell'educazione alla sostenibilità e alla cittadinanza attiva. La CEP parla di “valori” e di “questioni” che devono trovare spazio in ambito educativo, a tutti i livelli: il paesaggio non è un tema pacifico o pacificatore, ma anzi è occasione per educare alla complessità, per promuovere la comprensione degli stretti legami che intessiamo (come singoli e come società) con i luoghi e con chi vi abita insieme a noi. Il paesaggio quindi diventa un'opportunità educativa, che va oltre il tema in sé.
L'educazione al paesaggio mira a fornire una “grammatica” attraverso cui leggere, interpretare e vivere con maggior consapevolezza gli spazi delle nostre vite. Il paesaggio può essere, dunque, inteso come un esercizio di cittadinanza e partecipazione democratica?
Sì, senza dubbio. Come dicevo poco fa, la CEP promuove la crescita della consapevolezza affinché le comunità ai vari livelli siano in grado di esprimere le loro “aspirazioni” verso il paesaggio e partecipare alla definizione delle politiche. Siamo molto più abituati a denunciare ciò che nel paesaggio non apprezziamo e i contesti che consideriamo degradati, piuttosto che porci criticamente di fronte alle ragioni del degrado stesso e alle ipotesi per un miglioramento. La CEP ci chiede di esprimere il nostro punto di vista e di ascoltare quello altrui per convergere su obiettivi condivisi; ci chiede di assumerci la responsabilità di pensare al paesaggio che desideriamo per il futuro nostro e dei nostri figli, e di individuare le azioni che è necessario mettere in campo per ottenere questo. Si tratta ovviamente di azioni a vari livelli, che interpellano il livello decisionale politico-amministrativo, ma anche quello più personale.
C'è, quindi, una relazione 'educazione al paesaggio ed educazione allo sviluppo sostenibile?
In primo luogo, nell'ottica di quanto detto sopra, l'approccio al paesaggio può essere utile per dare forma e concretezza al ragionamento sugli obiettivi di sostenibilità. In secondo luogo, facendo educazione al paesaggio si promuove un approccio olistico, che considera fattori e questioni di natura diversa e costringe a considerarne le reciproche relazioni; credo che un simile approccio sia molto importante per imparare a ragionare nell'ottica della sostenibilità.
La recente pandemia da Coronavirus ha cambiato il nostro modo di percepire il paesaggio che per diverse settimane abbiamo potuto solo osservare dalla finestra di casa, senza esserne immersi. Quali paesaggi abbiamo perso o ritrovato durante il lockdown? Quali, invece, abbiamo scoperto o stiamo scoprendo in queste settimane di ripresa?
Personalmente, nelle settimane di lockdown mi è proprio mancato l'essere immersa “nel” paesaggio; ho sofferto la virtualizzazione delle relazioni, senza che esse si svolgessero in precisi luoghi, e la mancanza dei paesaggi che attraverso ogni giorno, quelli che sento familiari, con le loro forme, i loro suoni e i loro odori. Sicuramente i paesaggi – magari anche quelli più lontani – sono stati presenti nei nostri desideri e nella nostra immaginazione, quale segno del nostro più esteso desiderio di superare le restrizioni del periodo; oppure sono stati presenti nell'intensa comunicazione che si è svolta attraverso i canali digitali, quindi nel virtuale. Poi, quando abbiamo ricominciato a muoverci e a riprendere contatto con i paesaggi reali, è stato quasi possibile ri-scoprire i luoghi familiari, magari diversi perché meno congestionati del solito, e apprezzarne le caratteristiche e i significati che rappresentano per noi. L'essere costretti a “staccarci” dai paesaggi potrebbe averci aiutato a ri-immergerci in essi con maggiore consapevolezza.
L'importanza che il paesaggio riveste per la qualità della vita, l'attrattività dei luoghi e delle produzioni, la rivitalizzazione delle aree marginali sono questioni riconosciute e condivise che richiedono, per essere affrontate, competenze nuove e un approccio interdisciplinare. Per questo l'Università degli Studi di Padova ha istituito il “Corso di Laurea Magistrale in Scienze per il Paesaggio”, che ha recentemente preso il via. Ce ne può parlare?
Volentieri. Il nuovo percorso formativo è frutto di collaborazioni che ormai da diversi anni si sono instaurate nell'Università di Padova tra colleghi di diversa provenienza disciplinare, sia nell'ambito delle discipline scientifiche e tecniche, sia in quelle culturali e umanistiche. Anche grazie alle intense relazioni con soggetti esterni e alle numerose e diversificate attività di consulenza, abbiamo preso consapevolezza che a fianco delle competenze tecniche e progettuali, c'è necessità di operare nel paesaggio su altri fronti, con altre competenze. Per questo abbiamo costruito un percorso didattico centrato sulla conoscenza e l'interpretazione dei paesaggi, che fa perno sulla geografia ma procede poi in maniera trasversale alle discipline, affinché i nostri laureati possano operare a supporto delle procedure di tutela e gestione, nella promozione e valorizzazione e negli ambiti della sensibilizzazione, partecipazione e comunicazione. Pensiamo che sia un passo avanti concreto per diffondere “cultura del paesaggio”. Le risposte che stiamo avendo sono incoraggianti, sia in ambito accademico, sia da numerosi partner esterni, sia dagli studenti che stanno reagendo molto positivamente alla nostra proposta.
Come è stata attuata la CEP nei Paesi che l'hanno ratificata e quali questioni, a suo avviso, dovrebbero essere ora affrontate?
Il modo in cui la Convenzione è stata in questi 20 anni applicata nei diversi Pesai europei è dipeso molto dalle diverse tradizioni culturali e ordinamenti giuridico-amministrativi più o meno inizialmente distanti dall'approccio della Convenzione stessa. Il Consiglio d'Europa ha attivato numerose iniziative rivolte all'applicazione, soprattutto favorendo occasioni di incontro e di confronto tra rappresentanti dei diversi Paesi; le iniziative infatti devono poi essere messe in atto a livello nazionale e/o regionale o locale. Ritengo che parecchio lavoro sia stato fatto e che l'approccio della CEP inizi ora a diventare patrimonio comune. Ma tanto resta ancora da fare. Il dibattito resta aperto su molti punti; mi paiono centrali ad esempio la questione del rapporto tra democrazia e paesaggio e quella dell'integrazione del paesaggio stesso nelle politiche cha hanno direttamente o indirettamente influenza su di esso. Sono due punti cruciali anche di fronte alle grandi sfide che dobbiamo affrontare nella gestione dei nostri territori, in particolare di fronte ai cambiamenti climatici. In questo contesto, la CEP e più in generale la riflessione sul paesaggio possono rappresentare un'occasione per condividere obiettivi di sostenibilità.
a cura di Maddalena Pellizzari
Questa intervista è inserita nella terza Newsletter del 2020 di Montagne in Rete, dedicata alla Convenzione Europea del Paesaggio.